Cosa non dice l'etichetta

Il prezzo nascosto della salsa di pomodoro

Team Will Media
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#Consumo critico

Avere etichette più trasparenti e dettagliate potrebbe aiutarci a combattere fenomeni di sfruttamento come il caporalato

C’è un prezzo nascosto dietro la salsa di pomodoro che compriamo al supermercato. É un prezzo, però, che non paghiamo noi direttamente ma che cade sulle spalle dei lavoratori e delle lavoratrici.

Ad oggi, infatti, le etichette della salsa di pomodoro non contengono informazioni sufficienti per avere la certezza di fare acquisti prodotti eticamente. E questo non vale solo per la salsa di pomodoro ma per la maggior parte dei prodotti ortofrutticoli. Ma perché?

Le ragioni sono molteplici. Prima di tutto in Italia, come in molti altri Paesi europei, i pomodori e le salse di pomodoro costano poco a causa della grande distribuzione organizzata (GDO) che li acquista a prezzi bassissimi dagli agricoltori. Alcuni rivenditori, per esempio, acquistano i prodotti da aste al ribasso: vere e proprie battaglie tra produttori a chi può permettersi di guadagnare di meno per i frutti del proprio lavoro, pur di riuscire a venderli.

Di conseguenza gli agricoltori cercano manodopera a basso costo per far fronte alle richieste insostenibili della distribuzione. Spesso questo significa mettersi nelle mani di intermediari che trovano braccianti e gestiscono il loro rapporto con i proprietari delle aziende agricole.

In Italia più di 400.000 persone sono vittime di sfruttamento lavorativo agricolo – di cui una gran parte migranti dall’Est europeo e dai paesi dell’Africa, ma anche cittadini italiani.

Questo fenomeno è conosciuto come caporalato.

Lavoratore che indossa la maglietta dell'associazione No Cap che combatte il “caporalato” in agricoltura favorendo la diffusione del rispetto dei diritti umani, sociali, e dell’ambiente
Che cos'è il caporalato?

Il caporalato è un fenomeno di matrice mafiosa. Prende il nome dai “caporali”, intermediari che trovano braccianti agricoli e illegalmente gestiscono il loro rapporto con i proprietari delle aziende agricole.

I caporali decidono chi lavora e chi no, chi viene pagato e chi no, ma anche quando e quanto, in un contesto di schiavitù moderna. Caporalato, quindi, significa sfruttamento con paghe al di sotto delle tariffe stabilite dai contratti collettivi, orari di lavoro dilatati, riposi ridotti al minimo e nessuna misura di sicurezza o tutela.

Oggi, purtroppo, il fenomeno è diffuso in tutta Italia, dal Nord al Sud. Quasi 100 vicende giudiziarie riguardano comparti produttivi diversi prevalenti nel Centro e nel Nord Italia. I settori in cui il caporalato si manifesta più frequentemente sono quello agricolo, poi il manifatturiero, la lavorazione dei tessuti, la lavorazione delle carni, il volantinaggio e l’edilizia.

Il caporalato è illegale dal 2016 ma persiste perché le condizioni di mercato che lo hanno generato sono le stesse.

Il Parlamento Italiano nel giugno 2019 ha approvato il provvedimento in materia di vendita sottocosto che vieta le aste a doppio ribasso e disciplina delle filiere etiche di produzione. Ciò nonostante, il fenomeno del caporalato continua ad esistere e molte donne e uomini nel nostro Paese, spesso migranti, sono ancora vittima di questa pratica di sfruttamento.

In Italia lo sfruttamento esiste in ogni attività che non richiede un alto grado di specializzazione ed in cui la domanda di lavoro è superiore all’offerta. Secondo il quinto Rapporto Agromafie e Caporalato a cura dell’Osservatorio Placido Rizzotto della Flai-Cgil, in tutto sono circa 180.000 i lavoratori soggetti a fenomeni di sfruttamento lavorativo e caporalato.

Terra!, associazione ambientalista attiva dal 2008, ha pubblicato questo interessante report riguardo il caporalato nei Paesi del sud Europa.

Affianco a leggi punitive abbiamo quindi forse bisogno di premiare i rivenditori e produttori etici, allontanandoci da una mentalità che premia la convenienza a scapito di tutto il resto.

Quali sono le ragioni per cui il fenomeno del caporalato esiste?

Per vendere prodotti a basso prezzo, la grande distribuzione impone agli agricoltori di ridurre sempre più i costi di produzione. Questo, a cascata, porta gli agricoltori a rivolgersi ai caporali per risparmiare sulla manodopera.

La storia delle migliaia di uomini e donne che ancora oggi vengono sfruttate raccogliendo i pomodori che poi finiscono sulle nostre tavole ce la racconta anche Silvia Lazzaris nell’articolo su Food Unfolded.

É evidente che è spesso difficile capire se stiamo comprando prodotti che hanno a che fare con il caporalato. Infatti sulle etichette per legge devono comparire soltanto alcune informazioni, come gli ingredienti, la tabella nutrizionale e la scadenza. Ma spesso questo non basta.

Le informazioni che ci sono oggi in un'etichetta
Possiamo combattere il caporalato con etichette più dettagliate?

Un buon incentivo per combattere il caporalato potrebbero essere delle etichette più trasparenti.

Per esempio, mostrare il prezzo pagato all’agricoltore per la materia prima, come anche la ripartizione del prezzo tra i diversi attori di filiera, potrebbe scoraggiare le pratiche di ribasso eccessive della grande distribuzione. Specificare se la raccolta dei pomodori sia avvenuta manualmente o meccanicamente potrebbe poi aiutare la lotta allo sfruttamento dei braccianti. Con l’impiego dei macchinari infatti si riducono i rischi di schiavitù moderna – anche se non è raro che le persone che azionano le macchine siano sottoposte a forme di sfruttamento e reclutamento illegale.

Noi di Will abbiamo provato a fare un esperimento. L’etichetta della foto sottostante riporta le informazioni che oggi mancano sulle etichette della salsa di pomodoro che compriamo al supermercato. Se leggessi queste informazioni, la compreresti lo stesso?

Le informazioni mancanti: se le trovassi scritte sulle etichette convenzionali, compreresti lo stesso questa salsa?

Etichette più dettagliate potrebbero aiutarci a scegliere quali prodotti comprare e quali evitare. Sulle etichette infatti manca:

  • Prezzo pagato al coltivatore
  • Redistribuzione dei ricavi nella filiera
  • Prezzo consigliato
  • Area geografica di coltivazione
  • Metodo di raccolta

Certamente affidarsi esclusivamente a etichette più dettagliate e certificazioni volontarie non basterà a garantire che i produttori tutelino i diritti umani dei lavoratori di filiera. Ma le etichette etiche potrebbero funzionare come parte di un insieme di misure e strumenti istituzionali per rendere la produzione alimentare più giusta.

Noi, durante il nostro viaggio Will Meets durante l’estate 2021, ci siamo fermati a Foggia, in Puglia, dove abbiamo incontrato Francesco Strippoli, referente per l’associazione internazionale No Cap. Questa è la sua intervista.

 

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Aboubakar Soumahoro e la sua battaglia contro lo sfruttamento

Qui invece puoi vedere un video che avevamo fatto ad Aboubakar Soumahoro, attivista che da anni combatte il problema della discriminazione razziale lottando accanto ai braccianti, contro il caporalato e contro lo sfruttamento della filiera agricola. In quest’occasione ci ha raccontato dell’evento Stati Popolari degli Invisibili organizzato a Roma il 5 luglio 2020.

One Day One Day

One Day One Day è il documentario che racconta una storia di cui nessuno vuole parlare.

Will e A Thing By hanno co-prodotto un documentario che parla di un tema che ci riguarda tutti: le vite delle persone che ogni giorno raccolgono il cibo che mangiamo. Sono le persone che vivono nel ghetto di Borgo Mezzanone, in condizioni di abbandono, degrado e sfruttamento.

Questo documentario parla di un tema scomodo, che è difficile da affrontare. E forse per questo non è stato facile trovare qualcuno che ci aiutasse a distribuirlo nelle città italiane. È un tema attuale, ma di cui nessuno vuole parlare.

Dopo il nostro tour nelle scuole secondarie di secondo grado, abbiamo anche iniziato un tour nei cinema Italiani.

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Per approfondire