Le scelte che contano

Le nostre abitudini alimentari trasformano il Pianeta

Team Will Media
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#Consumo critico

Esistono almeno sei scenari futuri che ci dicono come il mondo si trasformerà in base alle nostre abitudini alimentari

Siamo una specie ingombrante. Con le nostre attività abbiamo notevolmente modificato tre quarti dell’ambiente terrestre e più del 60% di quello marino. È sfamarci, con la conversione di foreste e praterie in colture e pascoli, l’attività che più di tutte ci spinge a modificare gli habitat.

Perdere habitat, poi, è solo l’inizio di una catena di problemi. Significa perdere le specie che li abitano e di conseguenza rinunciare sempre di più a quei servizi silenziosi e invisibili che un ecosistema funzionante ci garantisce ogni giorno – per esempio la nostra salute e quella delle piante che coltiviamo per sfamarci e curarci.

Forse facciamo ancora fatica ad accorgercene, ma stiamo erodendo le fondamenta stesse delle nostre economie e dei nostri mezzi di sussistenza. Diversi studi e organizzazioni internazionali che si occupano della salvaguardia dell’ambiente denunciano ormai da anni l’inefficienza e insufficienza delle attuali politiche globali. L’ONU stessa in questo Report a maggio 2021 ha lanciato un ulteriore grido d’allarme. La natura è in pericolo: sta diminuendo a ritmi mai visti prima nella storia della specie umana e le specie in pericolo d’estinzione stanno aumentando sempre più velocemente. Tutto ciò causa pesanti e capillari conseguenze in tutto il mondo.

C'è ancora (poco) tempo per migliorare il nostro futuro

La buona notizia è che abbiamo ancora un po’ di tempo per migliorare la situazione, possiamo farci qualcosa.

Uno studio pubblicato su Nature Sustainability ha mappato la possibile espansione dei terreni dedicati alla produzione alimentare entro il 2050 e ha valutato l’impatto di diverse soluzioni. Tra queste l’adozione di una dieta che riduca il consumo di alimenti di origine animale, il dimezzamento dello spreco alimentare e l’ottimizzazione di commercio e produzione.

Ecco qui i sei possibili scenari futuri.

Quantità di habitat perduto nel mondo se non cambiamo abitudini alimentari

Gli studiosi hanno concluso che continuando sulla stessa rotta – con la crescita prevista della popolazione mondiale e nessuna variazione negli stili di vita e nell’ottimizzazione della produzione – nei prossimi trent’anni avremmo bisogno di oltre un quarto in più dell’attuale terreno utilizzato per produrre cibo. La perdita di biodiversità in Africa e America Latina sarebbe drammatica.

Risultato: Perdiamo quantità gravi di habitat in Argentina e in Africa. Ne perdiamo quantità modeste anche in Europa, America del Nord e Asia.

Quantità di habitat perduto nel mondo se adottiamo una dieta Eat Lancet

È stata presentata nel 2019 dalla commissione EAT-Lancet, un gruppo di esperti di nutrizione e sostenibilità provenienti da università in tutto il mondo, oltre che dalla FAO e dall’Oms.

Risultato: Recuperiamo habitat in Europa, Asia, e Nord America. Riduciamo la perdita di habitat in Africa e Sud America, ma la situazione rimane grave in entrambi i continenti.

Quantità di habitat perduto nel mondo riducendo di 1/4 lo spreco alimentare entro il 2030 e dimezzandolo entro il 2050

Risultato: Riduciamo la perdita di habitat nella maggior parte dei paesi, ma la perdita rimane seria in Africa e nelle Americhe.

Quantità di habitat perduto nel mondo se ottimizziamo il commercio

Risultato: Alleviamo la pressione nei paesi più a rischio, ma la pressione sulla biodiversità a livello globale non cala.

Quantità di habitat perduto nel mondo se aumentiamo il rendimento dei terreni

Risultato: In Europa, Asia, Oceania e parte dell’Africa recuperiamo habitat. In parte dell’Africa e nelle Americhe continuiamo a perderne, ma riduciamo le perdite al minimo.

Quantità di habitat perduto nel mondo adottando tutte le misure insieme

Risultato: Recuperiamo un territorio un tempo dedicato alla produzione di cibo grande quanto India e Germania messe insieme. Habitat e biodiversità non solo smettono di scomparire, ma aumentano di nuovo in tutti i continenti.

C'è un modo di impattare meno sull'ambiente, anche senza rinunciare a carne e latticini?

Una commissione di scienziati ha decretato che fra tutti gli scenari presentati, la dieta EAT-Lancet sarebbe la dieta più salutare per noi e per il pianeta.

La chiamano anche la “dieta della salute planetaria”, e dovrebbe essere la chiave per proteggere la salute nostra e del pianeta. È stata presentata nel 2019 dalla commissione EAT-Lancet, un gruppo di esperti di nutrizione e sostenibilità provenienti da università in tutto il mondo, oltre che dalla FAO e dall’Oms.

Secondo la dieta, frutta e verdura dovrebbero fornirci metà delle calorie giornaliere. In generale, la maggior parte del nostro nutrimento dovrebbe provenire da piante. E il consumo di proteine animali dovrebbe essere modesto. Concretamente, secondo la dieta EAT-Lancet non dovremmo mangiare più di 300 grammi di carne alla settimana, in particolare non più di 100 grammi di carne rossa. La dieta raccomanda anche 28 grammi di carne bianca e 14 grammi di carne rossa al giorno. Cioè una bistecca da 300 grammi si potrebbe mangiare ogni tre settimane.

Secondo i dati disponibili un abitante italiano consuma in media 237 grammi di carne al giorno – anche se il consumo reale, eliminati gli scarti e gli sprechi, potrebbe essere di circa 100 grammi al giorno. Più del doppio rispetto al totale suggerito dalla commissione di scienziati.

Per noi italiani, quindi, adottare la dieta EAT-Lancet significherebbe:

  • Raddoppiare i consumi di frutta e verdura, legumi e noci
  • Dimezzare i consumi di zuccheri e carni rosse
  • Ridurre significativamente il consumo di carni bianche

La dieta EAT-Lancet è considerata meglio per l’ambiente non solo perché la produzione di carne, soprattutto rossa, è responsabile del 14% di tutte le emissioni di gas serra, ma anche perché il bestiame nutrito con i cereali, come maiale e pollo, genera meno emissioni della carne rossa, ma ha un impatto più elevato su uso del suolo e perdita di biodiversità

La dieta EAT-Lancet è considerata meglio per la salute umana perché ad oggi l’eccesso di calorie e la carenza di nutrienti determinano un doppio squilibrio: 820 milioni di persone nel mondo soffrono la fame, e le malattie non trasmissibili legate a un’alimentazione abbondante ma malsana, tra cui diabete, cancro e malattie cardiache sono ancora tra le principali cause di morte.

Perciò, seguire una dieta a ridotto contenuto di proteine animali aiuterebbe a limitare il nostro impatto sull’ambiente e aiuterebbe la nostra salute.

Qualche esperto, però, ha espresso perplessità sul fatto che un quinto della popolazione mondiale non potrebbe adottare questa dieta per ragioni economiche e logistiche, in particolare gli abitanti di Paesi dell’Africa sub-sahariana e dell’Asia orientale.

E c’è anche chi ha messo in dubbio le basi scientifiche della dieta, come Gian Lorenzo Cornado, rappresentante dell’Italia presso le organizzazioni internazionali a Ginevra. In una lettera al British Medical Journal, Cornado ha sentenziato che una dieta standard per l’intero pianeta non ha alcuna giustificazione scientifica e prevede in un certo senso un controllo centralizzato delle scelte alimentari.

Gli autori del rapporto hanno replicato però di aver tenuto in considerazione le prove scientifiche più aggiornate sulle diete sane e sulla sostenibilità della produzione. E hanno rimarcato che non c’è nessuna pretesa di accentramento: l’ideale sarebbe che ogni cultura interpretasse questa dieta a suo modo, integrandola flessibilmente al proprio patrimonio culinario.

La strategia vincente per salvaguardare il Pianeta

É quindi evidente che adottare ciascuna delle soluzioni, potrebbe risolvere in parte il problema. La strategia vincente, però, sarebbe adottare tutte le soluzioni insieme. In questo caso non solo ridurremmo al minimo la perdita di habitat, ma in molti Paesi il bisogno di terreno diminuirebbe nonostante un aumento della popolazione.

Lo studio, insomma, conferma quello che sappiamo da tempo: non sarà una singola soluzione o tecnologia salvifica a risolvere i problemi ambientali di cui siamo responsabili, ma un insieme di approcci e un ripensamento dei nostri sistemi produttivi e dei nostri stili di vita.

Per arrivare ad adottare tali soluzioni è quindi necessario che le parole diventino azioni. Questa implementazione non è sempre facile, evidentemente, non solo perché si rischia di cadere nel tanto criticato “bla bla bla”, ma anche perché la complessità dietro alle discussioni politiche e alle promesse internazionali è veramente ampia. In questo video, Francesco Oggiano, ci racconta l’ulteriore grado di complessità dell’apparentemente inutile “bla bla bla” sul quale vale la pena riflettere.

Per approfondire