In Italia l’aborto è legale, ma il 70% dei ginecologi è obiettore
In Italia l’aborto è legale dal 1978 ma ci sono regioni in cui far valere questo diretto diventa sempre più difficile
Nel 2019 in Italia si è rifiutato di svolgere un aborto il 67% dei ginecologi, il 43,5% degli anestesisti e il 37,6% del personale non medico. Questi sono i dati riportati nella Relazione del 2019 del ministro della salute sull’attuazione della legge 194/1978, che ha introdotto in Italia il diritto all’aborto.
L’obiezione di coscienza è la possibilità di rifiutarsi di adempiere un dovere o un obbligo di legge per motivi etici o religiosi, attuando il principio della libertà di coscienza. In ambito sanitario fa riferimento alla possibilità per il personale medico e sanitario di rifiutarsi di praticare le interruzioni volontarie di gravidanza (IVG). É proprio la legge 194 del 1978 a riconosce questa possibilità.
Sebbene i singoli individui possano rifiutarsi di praticare l’aborto, in Italia è vietata, invece, la cosiddetta “obiezione di struttura”: il numero di medici obiettori di un ospedale non deve cioè impedire che si pratichino interventi di IVG.
Da anni, però, alcune associazioni segnalano che in diverse strutture ospedaliere italiane per le donne è di fatto impossibile abortire, perché tutto il personale è composto da obiettori. Secondo una ricerca dell’associazione Luca Coscioni ci sono almeno 22 ospedali e 4 consultori con il 100% di obiezione tra medici e personale sanitario, mentre in 72 ospedali gli obiettori superano l’80%.
A livello nazionale, in media un ginecologo non obiettore pratica 1,1 interventi di IVG a settimana, ma dietro questo numero si nascondono disparità territoriali: si va dagli 0,5 a settimana di media regionale della Valle d’Aosta praticati dal singolo medico ai 6,6 del e in 4 Regioni sono presenti strutture con oltre 9 IVG per medico a settimana (11,9 in Abruzzo, 10,9 in Campania, 12,3 in Puglia e 17,7 in Sicilia).
Secondo la mappa realizzata dall’Associazione Luca Coscioni, in Italia ci sono almeno 15 ospedali con il 100% di ginecologi obiettori.
Interrompere la gravidanza non è una scelta sempre libera per le donne. Come riporta questa mappa del Center For Reproductive Rights, lo status legale dell’aborto nel mondo non è uniforme. In molti Paesi, infatti, abortire non era garantito né prima né durante la pandemia Covid-19. In tutto il mondo le restrizioni imposte a causa della pandemia hanno ostacolato l’accesso all’aborto legale perché le strutture sanitarie erano sovraffollate o, semplicemente, perché non è stato possibile recarsi all’estero.
In America del Sud il diritto all’aborto non è riconosciuto nella maggior parte dei Paesi: uno degli ultimi ad aver legiferato sul tema è l’Argentina, quando il 30 dicembre 2020 ha approvato la legge sull’aborto. Dopo anni di richieste avanzate dalle attiviste per i diritti delle donne, la norma, proposta del presidente Alberto Fernandez, è stata approvata definitivamente dal Senato, rendendo l’Argentina il primo grande Paese del Sud America a riconoscere l’aborto.
Prima dell’Argentina, infatti, in America Latina, l’aborto era legale solo a Cuba, Uruguay e nella minuscola Guyana, che non raggiunge neanche un milione di abitanti. Dopo l’Argentina, anche la Colombia e lo stato di Coahuila in Messico hanno depenalizzato l’aborto, costituendo così un precedente importante per tutto il resto del Paese.
In Europa invece, il dibattito è stato recentemente risollevato quando in Germania, a gennaio 2022, è stata annunciata la cancellazione del divieto di informazione sull’aborto. Il nuovo governo tedesco, entrato in carica a dicembre 2021, ha annunciato che abolirà il divieto imposto ai medici di informare le proprie pazienti e il pubblico sulle pratiche abortive. Da diversi anni in Germania si tenevano manifestazioni di piazza e si firmavano petizioni per chiedere al governo che questo reato, introdotto in un’epoca nazista, fosse abolito una volta per tutte.
Ce ne ha parlato in questo episodio di The Essential la nostra Mia Ceran.
A livello mondiale, secondo i dati del Guttmacher Institute, tra il 2015 e il 2019 si sono verificate circa 121 milioni di gravidanze indesiderate all’anno. Di queste gravidanze involontarie, il 61% è terminato con un aborto, che si traduce in circa 73 milioni di aborti all’anno.
Secondo i più recenti dati, però, il trend è in crescita proprio nei Paesi che limitano l’aborto: la percentuale di gravidanze indesiderate che terminano con un aborto è aumentata negli ultimi 30 anni, dal 36% nel 1990-1994 al 50% nel 2015-2019.
Secondo il Centre of Reproductive Rights, a livello globale, di tutte le interruzioni di gravidanza solo il 55% è sicuro (cioè, realizzato da personale sanitario con criteri di sicurezza). Questi dati sono riportati anche dall’Organizzazione Mondiale della Sanità che dichiara che più del 30% degli aborti è realizzato da personale qualificato, ma senza un metodo sicuro (come il raschiamento acuto) e circa il 14% degli aborti sono realizzati da persone non formate e con metodi pericolosi.
Un dato spicca su tutti: più restrittiva è la legge del Paese sull’interruzione di gravidanza, più alta è la percentuale di aborti meno sicuri, perché clandestini. Si passa dall’1% nei Paesi meno restrittivi al 31% nei Paesi più restrittivi.
Il percorso verso aborti più sicuri è chiaro: i vantaggi derivanti dalla legalizzazione dell’IVG si vedono non appena le donne non devono più rischiare la salute ricorrendo al clandestino aborto. Ma la riforma giuridica non è sufficiente di per sé: deve essere accompagnata dalla volontà politica di rendere possibile l’attuazione della legge di modo che tutte le donne possano ricevere le stesse cure.
Il tema del diritto all’aborto è di attualità anche negli Stati Uniti, dove il sito Politico ha rivelato che la Corte Suprema sarebbe pronta a ribaltare la sentenza Roe v. Wade del 1973, la storica sentenza che aveva reso legale l’accesso all’interruzione volontaria di gravidanza a livello federale.
Poco prima che uscisse questa indiscrezione, Amazon ha annunciato che includerà nei benefit medici offerti ai dipendenti statunitensi anche un rimborso spese per coloro che devono viaggiare per per poter abortire. Si tratta di una presa di posizione politica importante da parte di un’azienda come Amazon:in alcuni Stati americani, infatti, il diritto all’aborto è limitato e le persone sono costrette a spostarsi in altri Stati per poterlo praticare.
L’interruzione di gravidanza è solo una delle fattispecie coperte da questi piani assicurativi che l’azienda offre ai propri dipendenti, e nello specifico si tratta di un rimborso fino a 4.000 dollari per trattamenti medici non disponibili nel raggio di 160 km dalla propria residenza, che riguardano anche altre procedure.
Una decisione simile a quella di Amazon era già stata presa in precedenza da Yelp e Citigroup: il fenomeno del brand activism, in cui le aziende si impegnano in cause di rilevanza sociale, lo abbiamo analizzato anche nel nostro libro “Politica Netflix“.
Dicono che il giorno più bello della vita di una donna sia quello in cui scopre di essere incinta. Ma c’è un altro lato del diventare madre. Scoprirsi madri può trasformarsi in una gogna quando le scelte individuali si scontrano con il giudizio degli altri.
Ascolta il podcast Acerbe, un podcast di Will realizzato da Valentina Barzago e Agnese Mosconi.