Il tormentone della Riforma della scuola sui giornali italiani dal 2006 ad oggi.
Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma scuola” oppure “Riforma scuola” + una di queste parole: “materie”, “precari”, “Urgente”, “Imprese”, “lavoro”. Nel grafico si notano 3 grandi ondate di discussioni sulla scuola:
#articoli
Il centrosinistra annuncia la riforma della scuola del ministro Fioroni
Il centrodestra riforma la scuola, reintroducendo il maestro unico
Il governo di Matteo Renzi licenzia la “Buona scuola”
Quotidiani analizzati: IlSole24Ore, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tempo, Il Fatto Quotidiano, La Padania, La Verita’, QN,, Avvenire, L’Espresso, Panorama, Libero Quotidiano, Il Giornale, Il Messaggero, La Stampa
La scuola italiana obbligatoria nasce nel 1859. Con la legge attribuita al ministro dell’Istruzione Gabrio Casati, il Regno di Sardegna (e due anni dopo il Regno d’Italia) istituisce l’obbligo di frequentare la scuola fino alla terza elementare. L’obiettivo è insegnare a ogni italiano a “leggere, scrivere e far di conto”. Per arrivare alla prima vera riforma bisogna aspettare però la riforma Gentile del 1923, definita da Benito Mussolini “la più fascista delle riforme”.
L'istruzione morale della scuola elementare dovrà essere schiettamente religiosa e, se o in quanto cattolica, affidata alla Chiesa
Il regime si è insediato da poco. Il filosofo e ministro dell’Istruzione Giovanni Gentile disegna una nuova scuola italiana: almeno nelle intenzioni, dovrà essere basata sul rapporto pedagogico e affettivo tra l’allievo e il maestro; dovrà offrire sempre più formazione classica e umanistica; dovrà avere come suo perno centrale il Liceo classico, considerato la fucina delle future classi dirigenti del regime. E dovrà avere l’obbligo di frequenza fino a 14 anni (obbligo spesso disatteso).
La scuola immaginata da Giovanni Gentile rimane in vigore per quasi 40 anni. Ma l’Italia cambia, e con essa devono cambiare anche le aule in cui si formano gli italiani. Così nel 1962, dopo lunghe trattative tra la Democrazia Cristiana e il Partito Socialista, arriva la riforma scolastica più importante del dopoguerra: quella che abolisce le scuole particolari e crea un solo tipo di scuola media, e che permette a tutti l’accesso a tutte le scuole superiori. L’obiettivo è eliminare la scuola divisa per classi sociali voluta dal fascismo. Sono gli anni della promozione dell’uguaglianza sociale, che deve partire proprio dalle aule, e dell’attivismo di intellettuali come Don Lorenzo Milani o Don Roberto Sardelli, che si dedicò all’opera educativa nelle borgate romane.
Finché ci sarà uno che conosce 2000 parole e un altro che ne conosce 200, questi sarà oppresso dal primo. La parola ci fa uguali
La stagione riformatrice continua con gli anni Settanta, grazie anche alle pressioni che arrivano dai movimenti studenteschi. Molti notano come la scuola cambi anche senza riforme specifiche, ma più come prodotto di un mutamento culturale fuori e dentro le aule: il sistema dei voti diventa meno fiscale, l’attenzione si sposta verso la maturazione complessiva dello studente; aumenta l’istruzione tecnica; arrivano gli insegnanti di sostegno; si supera il divario tra istruzione maschile e istruzione femminile; vengono introdotti nella vita della scuola i rappresentanti dei genitori, il personale Amministrativo, Tecnico e Ausiliario (Ata) e i rappresentanti degli studenti; nelle elementari arriva il tempo pieno, che diventerà un laboratorio di innovazione per l’insegnamento; finisce l’era del maestro unico alle elementari, ora affiancato da una serie di docenti.
E nel 2000 arriva la prima riforma del nuovo millennio. Porta il nome del ministro dell’Istruzione del primo governo di centrosinistra di Romano Prodi, Luigi Berlinguer. Modifica l’esame di maturità introducendo tre prove scritte e una orale, e vuole riorganizzare la scuola italiana in due cicli: uno di sette anni, il primario (che sarebbe andato dai 6 ai 13 anni) e uno di cinque, cioè il ciclo secondario (dai 13 ai 18). Ma la riforma rimarrà largamente incompiuta e molte sue modifiche saranno abrogate dalle riforme successive.
La scuola è sempre pubblica, perché alleva delle creature.
Nel 2001, infatti, cambia il governo. A Palazzo Chigi sale l’esecutivo di centrodestra guidato da Silvio Berlusconi, che vuole subito imporre una svolta più “moderna” alla scuola italiana. La grande riforma porta il nome della ministra dell’Istruzione Letizia Moratti. L’obiettivo, tra gli altri, è limitare l’intervento statale nella scuola pubblica, in nome della libertà di scelta delle famiglie e di quella che considerano la libera concorrenza tra scuola pubblica e scuola privata. Per il centrodestra la scuola italiana costa troppo, ha un personale eccessivo e impone troppe ore di scuola: da qui la decisione di tagliare le risorse pubbliche destinate al settore.
Lo slogan della nuova scuola si basa sulle “Tre I”: “Inglese, Informatica e Impresa” dovranno essere le fondamenta della formazione dei giovani italiani. Lo slogan funziona e acquisisce un’importanza così centrale da apparire su tutti i giornali e le televisioni e tornare a fare capolino anche nel 2008, quando il Cavaliere candidato premier lo rispolvererà per la campagna elettorale.
Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma scuola” oppure “Riforma scuola” + una di queste parole: “materie”, “precari”, “Urgente”, “Imprese”, “lavoro”
#articoli
Dopo le elezioni vinte, il governo di centrosinistra riforma la scuola e annulla in parte la riforma precedente del governo di centrodestra
Ma di solito le continue riforme della scuola italiane vengono smontate dai governi successivi e non hanno il tempo di essere veramente messe in pratica e perfezionate. Nel 2006 sale la sinistra al governo e i giochi sono da rifare: il successore di Letizia Moratti, Giuseppe Fioroni, introduce tra le altre cose una revisione dell’esame di Stato, riporta l’obbligo scolastico a 16 anni, e ridisegna le scuole superiori. Tra gli altri, abolisce il liceo economico e quello tecnologico e reintroduce gli istituti tecnici e professionali.
Passano neanche due anni: nuovo cambio di governo, nuova riforma. Questa volta è la ministra di centrodestra Maria Stella Gelmini, che nel giro di due anni modifica i metodi di valutazione e soprattutto reintroduce il maestro unico nella scuola elementare. Tra le altre cose, la riforma reintroduce lo studio dell’educazione civica e dà la possibilità di anticipare l’iscrizione dei figli a scuola già a due anni e mezzo; nella scuola secondaria di primo grado, reintroduce il voto in decimi, mentre in quella di secondo grado fa sì che il voto in condotta faccia media con gli altri. Chi ha meno di sei in condotta, inoltre, non potrà essere promosso.
Ricambiano ancora una volta gli ordinamenti dei licei. Da 10 si passa a 6 licei: Classico, Scientifico, Linguistico, Artistico, Musicale e delle Scienze Umane.
Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma scuola” oppure “Riforma scuola” + una di queste parole: “materie”, “precari”, “Urgente”, “Imprese”, “lavoro”
#articoli
Il governo di centrodestra approva una serie di misure per la scuola, che formano complessivamente la Riforma Gelmini, dal nome della ministra dell’Istruzione
Le proteste da parte di alcuni insegnanti e studenti contro la riforma Gelmini non fanno in tempo a scemare, che una nuova riforma di un nuovo governo cambia di nuovo la scuola. La riforma, licenziata dal Governo di Matteo Renzi, porta il nome de “La Buona scuola”: gira attorno all’idea del potenziamento dell’autonomia dei singoli istituti. Vuole portare una maggiore libertà nella gestione della didattica, dei progetti formativi, delle strutture e dei fondi accantonati a disposizione di ogni scuola. Ma introduce anche l’alternanza scuola-lavoro, inserendo percorsi lavorativi all’interno degli anni scolastici per contrastare il fenomeno della dispersione scolastica (cioè il mancato conseguimento dell’istruzione obbligatoria, per cui l’Italia è stata più volte ripresa dall’Europa), e potenzia di molto i poteri del dirigente d’istituto, oltre a presentare un piano da 100 mila assunzioni.
Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma scuola” oppure “Riforma scuola” + una di queste parole: “materie”, “precari”, “Urgente”, “Imprese”, “lavoro”
#articoli
Il dibattito sulla scuola torna a dominare le pagine dei giornali. Al governo c’è il leader del Pd Matteo Renzi, che promuove la riforma “Buona scuola”
E in effetti, uno dei titoli di giornale più immancabili dell’estate italiana, da decenni, è quello che lamenta i buchi di personale all’interno del sistema della scuola. Basta fare una rapida rassegna stampa per comprendere che il 2022 non fa eccezione: “La scuola riparte con i buchi” (Il Mattino); “Mancano professori da assumere” (il Messaggero); “I sindacati: ‘Mancano aspiranti: coperta solo una cattedra su otto’” (Repubblica).
Le parole più associate alla riforma della scuola negli articoli dei giornali: precari, imprese e lavoro
Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma scuola” + una di queste parole: “precari”, “Imprese”, “lavoro”
#articoli
Il Governo di Matteo Renzi promuove la riforma “Buona scuola”
Ma quanto guadagnano i professori? Nell’ultimo report disponibile del rapporto Teachers’ and School Heads’ Salaries and Allowances in Europe della rete Eurydice, si nota che lo stipendio medio lordo annuale di un insegnante italiano è pari a 25.800 euro. Non molto, visto che lo stipendio medio dei colleghi francesi è di 27,700 euro, degli spagnoli 33.400 e dei tedeschi 58.500. Per tamponare questo divario, l’ultimo dl Aiuti bis del governo di Mario Draghi ha introdotto la figura del “docente esperto”: una figura di esperienza che ha superato tre percorsi formativi non sovrapponibili – per un totale di almeno 9 anni di università – e a cui spetta uno stipendio maggiorato di 5.650 euro annui rispetto a quello dei colleghi. Il problema, tuttavia, è che i posti non sono molti: su 8.290 istituti presenti in Italia, i posti sono pressoché altrettanti, e quindi ogni scuola potrà avere un solo “super docente”.
In vista del voto del 25 settembre, le proposte politiche per la riforma del settore scolastico sono molte, e variegate: a destra, la coalizione di Lega, Fratelli d’Italia e Forza Italia propone un “piano straordinario” per la fine del precariato dei docenti, una valorizzazione delle scuole professionali, l’ammodernamento e la messa in sicurezza degli stabili scolastici e un forte investimento nella formazione dei docenti.
A sinistra, il Partito democratico ha destinato diverse proposte al comparto scolastico, a partire da quella dei 6-8 miliardi di euro da investire nell’adeguamento dello stipendio dei docenti alla media europea. Ma il partito di Enrico Letta propone anche la scuola dell’infanzia obbligatoria e gratuita, così come l’accesso alla mensa gratuito, oltre a un incremento dei docenti di sostegno.
Il Movimento 5 stelle di Giuseppe Conte parla invece – oltre che di adeguamento degli stipendi – di riforma dei cicli, con l’introduzione di una “scuola dei mestieri” per sostenere la tradizione artigiana. Infine, il “Terzo Polo” di Carlo Calenda aggiunge alla questione stipendi il diritto al tempo pieno di 40 ore settimanali per tutti gli studenti delle scuole primarie e la proposta di alzare a 18 anni l’età della scuola dell’obbligo, invece dei 16 attuali.
Tante proposte, molte promesse, un eterna ripetizione senza bocciature.
NOTA METODOLOGICA
I dati contenuti in questa pagina sono stati ricavati dall’archivio digitale de L’eco della stampa, estrapolando gli articoli che contenevano il termine “Riforma scuola” + una di queste parole: “materie”, “precari”, “Urgente”, “Imprese”, “lavoro”.
Quotidiani analizzati: IlSole24Ore, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tempo, Il Fatto Quotidiano, La Padania, La Verita’, QN,, Avvenire, L’Espresso, Panorama, Libero Quotidiano, Il Giornale, Il Messaggero, La Stampa.