La strategia della pensione

Tempo di elezioni e quindi di uno dei più grandi tormentoni di ogni tornata elettorale: le pensioni. È un argomento che interessa almeno 22 milioni e mezzo di italiani, tanti sono quelli che hanno più di 55 anni e sono quindi in pensione o prossimi a essa. È un argomento che pesa sulle casse italiane per 312 miliardi di euro, tanti sono stati quelli spesi nel 2021 tra pensioni di anzianità (56%), di vecchiaia (18%) e di reversibilità (14%). Ed è un argomento che almeno negli ultimi 16 anni è stato trattato – a parole o nei fatti – da tutti i partiti. Una storia infinita, è che parte dall’Ottocento

Il tormentone della Riforma delle pensioni sui giornali italiani dal 2006 ad oggi. 

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”:

   #articoli
   Il Governo Prodi introduce il sistema delle “quote”
   Entra in vigore la Riforma Fornero
   Il Governo Conte, su spinta della Lega, introduce Quota 100
   Mario Draghi introduce Quota 102

Quotidiani analizzati: IlSole24Ore, Corriere della Sera, La Repubblica, Il Tempo, Il Fatto Quotidiano, La Padania, La Verita’, QN,, Avvenire, L’Espresso, Panorama, Libero Quotidiano, Il Giornale, Il Messaggero, La Stampa.

1812-1933
La nascita delle pensioni
L’idea di corrispondere una somma fissa alle persone più anziane, oggi imprescindibile nella struttura del mondo occidentale, è tutto sommato recente. Prima della Rivoluzione industriale del tardo Settecento, gli anziani erano a carico delle loro rispettive famiglie. A occuparsi delle fasce più indigenti della popolazione erano esclusivamente le associazioni di carità di stampo religioso e gli enti di beneficenza pubblica e privata. Il primo atto legislativo che inizia a immaginare il moderno concetto di “pensione” arriva nel 1812, e vede la luce nei regni di Napoli e di Sicilia: è la legge che battezza un fondo pensionistico per gli ufficiali, i lavoratori statali, le vedove e gli orfani.  Per arrivare ai primi passi compiuti nel settore dell’assistenza ai lavoratori privati in Italia bisogna attendere l’Ottocento e guardare agli infortuni sul lavoro: nel 1861 viene istituita la “Cassa invalidità per la gente di mare”, dedicata ai marinai vittime di incidenti in servizio, ma che è ancora interamente finanziata dagli stessi equipaggi.  Sul finire del secolo, nel 1895, arriva finalmente la prima legge. che istituisce un sistema previdenziale nazionale: è il Regio decreto numero 70 di quell’anno, che raccoglie le disposizioni sulle pensioni degli impiegati dello Stato.
1933-1952
Le riforme fasciste
Ma l’accelerazione più forte arriva nel periodo più buio del 900 italiano: il ventennio fascista.  Il regime non ha “introdotto” le pensioni universali, così come pensano molti, ma è intervenuto per riformare il sistema previdenziale già nato prima della sua salita al potere.  Mussolini infatti, introduce l’Infps (Istituto nazionale fascista per la previdenza sociale, dopo la guerra Inps), gli assegni familiari per i figli a carico, una prima forma di sostegno a chi ha perso il lavoro, la pensione di reversibilità e abbassa l’età pensionabile da 65 a 60 anni per gli uomini e a 55 per le donne.
1952-1995
Gli anni del retributivo
Finito il fascismo, inizia per l’Italia un periodo di boom economico, fatto anche di riforme delle pensioni in un clima di grande fiducia nel futuro. Nel 1952 il governo introduce la “pensione minima” . e poco più tardi anche la “pensione di anzianità”. Ma per avere a che fare con la prima pensione di anzianità propriamente detta bisogna aspettare la metà degli anni Sessanta: nel 1965 viene introdotta  per chi abbia raggiunto i 35 anni di contributi da lavoro versati, a prescindere dall’età anagrafica dell’individuo. Nel 1969, l’anno dello Statuto dei lavoratori, il ministro socialista Giacomo Brodolini si batte tenacemente per una riforma che ancora oggi porta il suo nome: è quella che introduce un nuovo sistema di calcolo della pensione, parametrato alla retribuzione percepita durante il periodo di attività lavorativa – e per questo detto retributivo – e non più ai contributi versati, il sistema contributivo precedente. L’Italia di questi tempi è un posto diversissimo dall’attuale: ha un numero di lavoratori attivi crescente, e pochi pensionati. Brodolini, allora, ritiene che i tempi siano maturi per premiare questi ultimi con più risorse. Nella sua relazione alla Camera, il ministro definì la riforma “una grande opera di giustizia” e un contributo a una “più equa ridistribuzione del reddito”. Sono questi gli anni delle famigerate “baby pensioni”, introdotte nel 1973 dal governo Dc di Mariano Rumor. Con esse i dipendenti statali potevano andare in pensione dopo aver versato appena 20 anni di contributi (14 anni le donne sposate con figli). Una misura che permetterà a moltissimi di ritirarsi dal lavoro a meno di 50 anni o addirittura 40 anni, e che secondo alcuni calcoli costerà allora stato più di 150 miliardi di euro. I tentativi di eliminare le baby pensioni saranno tanti e tutti infruttuosi, vuoi anche perché una decisione simile avrebbe forse alienato voti al partito che l’avesse presa. Per l’eliminazione dell’anomalia bisognerà aspettare il 1995, con la riforma Dini.
1995-2007
Il ritorno al contributivo

La storia delle pensioni in Italia è lunga e travagliata, ma è soprattutto un gran parlare di due sistemi: il retributivo e il contributivo. Nel metodo introdotto da Brodolini negli anni 60, il calcolo della pensione è indipendente dall’età del pensionando, e gli assegni mensili che riceve il pensionato possono arrivare sino all’80% dell’ultima retribuzione che lo stesso ha ricevuto (e quasi al 100% in caso di dipendente pubblico). Il problema è un livello generale delle prestazioni troppo elevato rispetto alle risorse finanziarie disponibili. In altre parole: lo Stato spende enormemente di più in pensioni rispetto a quanto incassa dai lavoratori. Secondo il sito di informazione economica Lavoce.info, alcune categorie di lavoratori andate in pensione col retributivo arrivano a ricevere fino al triplo dei contributi che hanno versato.

 

E così, dopo 30 anni di dibattito, si cambia. Siamo a metà degli anni 90. La prima Repubblica è finita, i grandi partiti sono stati spazzati via da Tangentopoli, il debito pubblico si sta impennando. A Palazzo Chigi c’è un governo tecnico, che fa quello che i partiti non vogliono fare (refrain che si ripeterà anche nel 2011): elimina il costosissimo calcolo retributivo delle pensioni e introduce il contributivo. Con il contributivo la pensione non è più legata alla retribuzione del lavoratore, ma è vincolata alla contribuzione versata nell’arco dell’intera vita lavorativa: chi va in pensione riceve ciò che ha accantonato in decenni di attività. Cambia tutto.

2007-2011
Le "quote"

1° ondata con la riforma Prodi

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”

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   La riforma del Governo Prodi introduce il sistema delle “quote”

La riforma dura poco. Appena 10 anni dopo, le pensioni vengono rivoluzionate, questa volta dal governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi. La parola chiave, questa volta, è quella delle “quote”. Si tratta della somma dell’età di un italiano e degli anni in cui lo stesso ha lavorato. Un uomo di 60 anni che ha lavorato per 30 anni, avrà una quota di 90. Prodi stabilisce che per ricevere la pensione di vecchiaia (la più comune), bisogna avere una somma tra età e contributi di almeno 95 anni (esempio, una persona di 60 anni che ne ha lavorati 35).

Inizia il tormentone delle quote, che saranno riviste negli anni: dal 2011 la quota minima per ricevere la pensione si alzerà a 96 (con almeno 60 anni di età), mentre dal 2013 salirà a 97 (con almeno 61 anni di età). Nel 2022 la quota per andare in pensione è salita a 99 anni, con un età minima di 63 anni e 7 mesi, e 35 anni di contributi versati.

2011-2018
La Riforma Fornero

2° ondata con la riforma Fornero

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”

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   Il governo tecnico di Mario Monti approva la dolorosa, ma per molti necessaria, riforma Fornero

Ma come per la riforma Dini del 1995, si ripete la storia per cui a fare le riforme più dolorose sulle pensioni – e quindi le meno appetibili elettoralmente – sono i tecnici anziché i politici.  Arriva la crisi economica, prima quella del 2007-2008, poi quella del 2011-2012. I conti italiani sono a rischio dissesto. La comunità internazionale pressa l’Italia perché operi delle riforme strutturali per salvarsi dal default. Il Governo di centrodestra di Silvio Berlusconi è caduto. A Palazzo Chigi salgono nuovamente i tecnici, questa volta guidati dall’economista Mario Monti.

 

La ministra del Lavoro è Elsa Fornero: tocca a lei presentare la riforma che porterà il suo nome, e che a 10 anni di distanza fa ancora parlare (e dividere) la politica italiana. La riforma allunga i tempi necessari per andare in pensione, portando l’età minima per ricevere la pensione di vecchiaia a 67 anni.

Ma la Legge Fornero, che è scritta e approvata in un momento di emergenza, dimentica una categoria: quella degli “esodati”. Sono gli italiani e le italiane che prima della riforma hanno accettato il licenziamento in cambio di aiuti economici da ricevere fino all’età della pensione. Adesso che l’età della pensione è slittata in avanti, si ritrovano in un limbo, senza aiuti né pensione. Inizia il tormentone nel tormentone degli esodati: solo nel giugno 2012 gli articoli dedicati usciti sulla stampa sono più di 300.

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”

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   Dopo l’entrata in vigore della riforma Fornero, scoppia il caso “esodati”

2018-2021
La mitica Quota 100

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”

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   Il Governo Conte 1 riforma la legge Fornero, osteggiata particolarmente dalla Lega

La questione degli esodati verrà risolta, ma “la Fornero”, come verrà comunemente chiamata, sarà negli anni la riforma forse più osteggiata da molte forze politiche (specie a destra). E nonostante secondo molti esperti sia servita a risolvere una stortura del sistema pensionistico italiano e a salvare i conti pubblici italiani, viene dipinta come l’origine di ogni male nel sistema pensionistico italiano.

 

E così, durante la campagna elettorale del 2018, diversi partiti promettono il superamento della Fornero. Prima su tutti, la Lega Nord, che ne fa uno dei suoi cavalli di battaglia. Una volta salita al Governo nel Conte 1 con i 5 Stelle, il partito di Matteo Salvini fa approvare una nuova riforma delle pensioni. Questa volta la parola chiave è “Quota 100”, dal nome della riforma che viene approvata: chi ha almeno 62 anni di età e ha versato almeno 38 anni di contributi (e quindi ha 100 anni in tutto) può andare in pensione. Solo pochi mesi dopo l’introduzione della riforma, ben 341 mila italiani chiedono di ricevere la pensione. 

 

“Quota 100”- che secondo gli esperti rischia di mettere in pericolo i conti dell’Inps – viene approvata in via sperimentale con una durata massima di tre anni. Con l’uscita della Lega dalla maggioranza, però, il nuovo governo Conte non rinnova la riforma, che quindi scade naturalmente alla fine del 2021. 

 

Terminato il triennio, la Ragioneria generale dello Stato si fa due conti per capire quale sia stato il costo effettivo di quota 100. Nel triennio 2019-2021 sono stati spesi 6,7 miliardi di euro in meno rispetto a quanto previsto (-36,2%). Guardando invece da qui al 2025, orizzonte temporale preso per dar tempo di valutare i costi di chi ha usato quota 100 nel 2021, la previsione ufficiale di spesa ammonta a circa 33,5 miliardi totali. Quella effettiva potrebbe attestarsi a circa 23,2 miliardi. Quindi complessivamente, tutta la misura è costata il 31% in meno del previsto.

2021-oggi
Le permanenti riforme temporanee

Nel grafico il volume degli articoli contenenti il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole: “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”

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   Per evitare il ritorno della legge Fornero, il governo di Mario Draghi introduce una nuova riforma temporanea delle pensioni: “Quota 102”

Come nei più classici tormentoni che abbiamo analizzato, il problema non viene risolto definitivamente: se da una parte i governi che si succedono non rinnovano la riforma proposta dalla Lega di Matteo Salvini, dall’altra non ne approvano una nuova al suo posto. Il risultato è un buco legislativo. Il 31 dicembre 2021 scade il periodo di sperimentazione di “Quota 100”. Dal giorno dopo, in assenza di una riforma delle pensioni, dovrebbe tornare in vigore la legge Fornero, che prevede di ottenere la pensione a 67 anni. 

 

Al governo, dopo la caduta di Conte, arriva Mario Draghi, a cui tocca la patata bollente delle pensioni italiane. Ricomincia la discussione: alla fine, il governo inserisce la riforma dentro la legge di bilancio a fine 2021: la quota 100 diventa “Quota 102”. L’età minima per andare in pensione con 38 anni di contributi sale da 62 a 64 anni. Nella legge è previsto che “Quota 102” resti in vigore – e quindi impedisca il ritorno alla legge Fornero – per solo un anno: quello che succederà nel 2023 sarà perciò opera di un nuovo governo. 

 

Perché nei tormentoni della politica italiana, niente è più permanente del temporaneo.

NOTA METODOLOGICA

I dati contenuti in questa pagina sono stati ricavati dall’archivio digitale de L’eco della stampa, estrapolando gli articoli che contenevano il termine “Riforma pensioni” + una di queste parole:  “urgente”, “anticipata”, “esodati”, “quota”. 

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